Roma: ecco il protocollo operativo su censimenti e sgomberi delle occupazioni.

A LIVELLO NAZIONALE, NEL CONTRATTO DI GOVERNO “GIALLO-VERDE”, SI DICHIARA GUERRA AGLI OCCUPANTI.

NELLA CAPITALE SI APRE UNA NUOVA STAGIONE DI SGOMBERI.

PREFETTURA E COMUNE ELABORANO LA LISTA DEI PRIMI IMMOBILI DA SGOMBERARE, SULLA BASE DEI CRITERI DEFINITI DAL COMITATO METROPOLITANO.

MA LE ISTITUZIONI NON SEMBRANO ACCORGERSI DELLA DIFFERENZA TRA “FAVELAS” ED OCCUPAZIONI ABITATIVE DEGNE.

E SI INSISTE CON LA CATEGORIA ESCLUDENTE DELLE “FRAGILITA’”.

Qui trovate una sintesi della seduta del Comitato Metropolitano e dei nostri spunti critici.

Ci vediamo questo pomeriggio alle 17, alla Stampa -via tiburtina- per capire insieme come rispondere a questo ennesima fase della “guerra agli ultimi” che si combatte, ogni giorno, nelle nostre città.

PREMESSA

In seguito allo sgombero dello stabile di via di Vannina 78 avvenuto lo scorso 21 Marzo, la nostra associazione insieme ad A Buon Diritto, ha deciso di effettuare un accesso agli atti per verificare se le modalità prescritte dalla circolare del Ministero dell’Interno del 1 settembre 2017 per gli sgomberi di occupazioni abitative fossero state o meno rispettate. Su questo punto, stiamo effettuando ancora delle verifiche e presto vi faremo sapere le informazioni che siamo riusciti ad acquisire.

Nel frattempo, però, riteniamo importante in questa fase pubblicare per intero un documento di cui siamo venuti in possesso proprio tramite l’accesso agli atti effettuato.

 

Si tratta del verbale della seduta del Comitato Metropolitano per l’Ordine e la Sicurezza del 22 gennaio 2018. Un documento, si legge nella premessa, che nasce dalla necessità di dare esecuzione alle indicazioni formulate dal Ministero degli Interni nella  circolare del 1 settembre del 2017 che ha meglio specificato le modalità con cui debbono essere eseguiti gli sgomberi di occupazioni abitative, in attuazione dell’art.11 della legge n.48/2017 (c.d. “legge sulla sicurezza urbana”).

 

LA CIRCOLARE DEL MINISTERO DELL’INTERNO DEL 1 SETTEMBRE 2017

Tale circolare, infatti, prevede un ben preciso procedimento che deve essere eseguito per giungere alle “determinazioni del Prefetto circa le modalità esecutive degli sgomberi” di occupazioni abitative.In particolari due sono i punti principali di tale normativa:

  1. La necessità che il Prefetto “pianifichi le attività necessarie per eseguire gli interventi, verificando le condizioni che garantiscano […] le tutele alloggiative degli aventi diritto in relazione a ciascuno degli interventi di sgombero programmati. La scala di priorità degli interessi che il Prefetto deve tenere in considerazione pone in cima i soggetti portatori di conclamate ed oggettive fragilità o che comunque ne abbiano diritto”.
  2. Il fatto che si definisca “imprescindibile” l’attività preliminare del Prefetto di coinvolgimento delle Regioni e degli Enti Locali “per la definizione delle modalità di esecuzione dei provvedimenti di sgombero di immobili occupati arbitrariamente, giungendo ad una efficace e condivisa individuazione delle opportune misure da adottare”. Proprio il Comitato Metropolitano rappresenta la sede all’interno del quale il Prefetto può acquisire informazioni utili ed è sempre tale Comitato che ha il compito di definire i criteri sulla base dei quali effettuare un censimento delle criticità, con riferimento innanzitutto alla situazione degli occupanti.

 

IL PROTOCOLLO OPERATIVO

Sulla base di tali indicazioni, il Comitato Metropolitano nella seduta del 20 ottobre 2017 ha elaborato un “protocollo operativo per superare le criticità che rallentano o impediscono la conclusione delle operazioni di censimento degli occupanti”.

 

GLI IMMOBILI INTERESSATI

Nella seduta del 22 gennaio 2018, il Comitato Metropolitano effettua una ricognizione degli immobili occupati. Il fenomeno delle occupazioni di edifici pubblici e privati viene definito “allarmante” e vengono menzionati dati ben precisi:

90 stabili occupati (64 con destinazione abitativa e 26 destinati a centri sociali o studentati) di cui 53 di proprietà di enti pubblici e 31 di privati.

I CRITERI

I criteri di priorità individuati per la calendarizzazione dei censimenti ai fini della successiva programmazione degli sgomberi risulta essere i seguenti:

  1. Immobili che presentino precarie condizioni di sicurezza;
  2. Immobili per la cui liberazione sia stato promosso giudizio di ottemperanza;
  3. Immobili gravati da sequestro preventivo in attesa di esecuzione

 

Sulla base di tali criteri, gli Uffici competenti di Roma Capitale e della Prefettura procederanno ad effettuare una verifica dei dati in loro possesso allo scopo di stilare un elenco degli immobili da sottoporre a censimento, che verrà trasmesso all’approvazione del Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza.

GLI IMMOBILI OGGETTO DI PRIORITARIE OPERAZIONI DI CENSIMENTO

Dando seguito a quanto prescritto, nella seduta del 28 marzo il Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza, su proposta di Prefettura e di Roma Capitale, ha approvato l’elenco degli immobili da sottoporre in via prioritaria a censimento, poiché edifici caratterizzati da condizioni di accertata precarietà strutturale e destinatari di provvedimenti per la loro messa in sicurezza e di sequestro dell’Autorità Giudiziaria:

  • Via Carlo Felice, n.69;
  • Via Cardinal Capranica, n.37;
  • Via Tiburtina n.1040;
  • Via dell’Impruneta n.51

Inoltre vengono anche menzionate le occupazioni di Via Raffaele Costi e Via Collatina 385, precisando che si effettueranno su queste ulteriori verifiche per valutare l’inserimento in un successivo elenco delle priorità di censimento.

SPUNTI CRITICI

Ci prepariamo dunque ad una nuova stagione di pesanti sgomberi nella Capitale, con sulla carta la volontà da parte delle istituzioni di effettuare un preventivo censimento delle persone presenti nelle occupazioni al fine di garantire la presa in carico delle “fragilità”.

Tuttavia molti sono i punti critici dell’attuale normativa e del processo delineato per giungere a tali sgomberi:

 

1 – Nessuna distinzione tra “favelas” ed occupazioni abitative

 

Tanto nei criteri delineati dal Comitato Metropolitano quanto nella stessa circolare del Ministero dell’Interno si definiscono acriticamente “occupazioni abitative” tutti quegli edifici pubblici/privati oggetto di occupazioni arbitrarie. Tuttavia, se  potrebbe apparire corretto in punta di diritto, ciò si scontra con la realtà delle cose. E’ evidente, infatti, come non possono essere poste sullo stesso piano situazioni completamente differenti. Nella Capitale, accanto ad occupazioni storiche che rappresentano delle conquiste del movimento per il diritto all’abitare ed anche delle esperienze di riqualificazione urbana, sono presenti delle vere e proprie “favelas”. Parliamo di baraccopoli create all’interno di edifici pericolanti in cui centinaia di persone sopravvivono in mezzo all’amianto, a rifiuti tossici e residui chimici ed è proprio il caso di via Tiburtina 1040 (sede dismessa dell’ex Fabbrica della Penicillina dove attualmente sono presenti 600 persone) e di via Raffaele Costi.

Queste “favelas” ,in cui si assiste quotidianamente alla violazione dei diritti umani fondamentali, in uno Stato di Diritto non dovrebbe esistere e richiedono immediati interventi per la loro “evacuazione” e successiva bonifica, rappresentando un pericolo per la salute degli occupanti e di tutti gli abitanti del quartiere in cui insistono.

Diversamente le occupazioni abitative che rappresentano delle esperienze di riappropriazione in particolare di spazi pubblici abbandonati sono, a nostro avviso, luoghi da difendere, lottando per un loro necessario riconoscimento istituzionale.

2 –  La controversa categoria delle “fragilità”

Il verbale del Comitato Metropolitano nell’individuazione dei soggetti che, in seguito agli sgomberi delle occupazioni abitative, necessitano di doverosa presa in carico fa espresso riferimento alle “fragilità sociali” come definite con Determinazione Dirigenziale n.3859/2017 del Dipartimento Politiche Sociali.

Bisogna evidenziare come, nella prassi che si è consolidata in questi mesi, la categoria delle “fragilità”, cui non corrisponde un preciso riferimento normativo nazionale, si è rivelata escludente e inefficace. Infatti le “fragilità” conclamate ed oggettive sono state ritenute esistenti dal Dipartimento Politiche sociali solo con riferimento a ristretti gruppi di persone: donne con minori; donne incinte; anziani malati. La conseguenza diretta è stata quella per cui negli sgomberi di occupazioni abitative solo a queste soggettività è stata offerta una alternativa alloggiativa, spesso senza neanche rispettare il diritto all’unità dei nuclei familiari.

Considerando che il censimento che si tende attualmente operare, prioritariamente nei riguardi delle quattro occupazioni suddette, ha come fine quello di effettuare una ricognizione delle situazioni di “fragilità” per predisporre specifici interventi di presa in carico (considerati “imprescindibili per poter procedere alla materiale attuazione degli sgomberi”) ,risulta sicuramente necessario aprire una discussione pubblica che porti al superamento di tale categoria.

Risulta, infatti, del tutto evidente che:

  • Gli occupanti che si trovano a vivere in condizioni disumane e degradanti (come le sopra descritte “favelas”) si trovino tutti quanti in una condizione di estrema vulnerabilità e precarietà, che spesso comporta un forte disagio psico-fisico. Una situazione di gravissima fragilità sociale che deve implicare, in ogni caso, una loro presa in carico;
  • In ogni caso, la fragilità sociale non può non tener conto anche della presenza di una fragilità economica ossia di una situazioni reddituali sotto la soglia di povertà in cui si trova chi occupa uno stabile a fini abitativi.

Evidentemente, se non si tiene conto di questi due fattori, la definizione di ”fragilità” rimane monca ed incapace di risolvere, attraverso i necessari strumenti di welfare, le problematiche di chi è costretto in una condizione di marginalità.

Nelle prossime settimane, intendiamo portare avanti una discussione su questo tema con il fine di destrutturare la categoria fallacia delle “fragilità” assunta dalla Giunta Capitolina e di effettuare delle proposte che sappiano realmente tutelare i diritti fondamentali degli occupanti.

3 – L’inefficacia delle soluzioni alloggiative alternative

Negli sgomberi che si sono verificati in questi mesi abbiamo avuto modo di constatare come le soluzioni alloggiative alternative offerte a quelle poche persone ritenute “fragili” siano state sempre dei meri centri istituzionali di accoglienza, per un tempo peraltro limitato (6 mesi) .Ciò è accaduto anche quando le persone sgomberate si trovavano in una situazione di sola “fragilità economica” e non di “fragilità sociale” e, comunque, anche in quest’ultimo caso nessun percorso di autonomia è stato messo in campo dalla Giunta Capitolina neanche nei riguardi degli sgomberati ospitati in tali centri.

Risulta evidente la miopia di tali scelte politiche, nell’ambito delle quali si decide di non affrontano il tema del riuso del patrimonio pubblico e privato inutilizzato, per destinarlo alla risoluzione dell’ “emergenza abitativa”.

Nonostante i proclami dell’allora Ministro Minniti e della Sindaca Raggi nessun passo avanti su tale fronte sembra essere stato effettuato.

In particolare bisogna ricordare come come nell’ambito della  circolare del Ministero dell’Interno del 1 settembre 2017 sia stata istituita una Cabina di regia presso il Ministero degli Interni, con la partecipazione dei rappresentanti dell’Associazione nazionale Comuni italiani (ANCI), della Conferenza dei Presidenti di Regione e dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

In tale sede si sarebbe dovuto provvedere ad una ricognizione dei beni immobili privati e delle Pubbliche Amministrazioni inutilizzati, compresi quelli sequestrati e confiscati. Sulla base di tale mappatura si sarebbe dovuto proporre un piano per l’effettivo utilizzo e riuso a fini abitativi, offrendo un’alternativa reale alle persone soggette a sgomberi di occupazioni.

A distanza di otto mesi, tuttavia, non sappiamo nulla di tale Cabina di Regia.

Anche sul fronte comunale la situazione non è delle più trasparenti, in particolare per quanto concerne la destinazione dei beni confiscati alle mafie.Come evidenziato dalla Rete dei Numeri Pari in un incontro svoltosi al Campidoglio il 9 Maggio, il patrimonio immobiliare confiscato è molto vasto: “209 beni, tra appartamenti, terreni, box auto e negozi, già passati nelle proprietà del Comune; 470 immobili di varia natura, tra cui 200 a scopo abitativo attualmente nelle mani dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati”. Problemi pone anche il “regolamento per gestione dei beni confiscati” elaborato dalla giunta capitolina e che -come ben evidenziato dalle associazioni- presenta alcune criticità: la possibilità che questi beni siano destinati a scopo di lucro se l’assegnazione a fini sociali non vada a buon fine; l’impossibilità per i soggetti che abbiano occupato immobili di proprietà di Roma Capitale di concorrere alla gestione;la carenza di trasparenza ed accessibilità alle informazioni. Proprio su quest’ultimo punto bisogno evidenziare che con un delibera del 22 novembre 2017 del Dipartimento Patrimonio, Sviluppo e Valorizzazione ben 14 immobili confiscati alle mafie, di diversa metratura, sono stati già destinati al Dipartimento Politiche Abitative-Emergenza Abitativa. Tuttavia, anche qui, a distanza di quasi sette mesi non è dato sapere se tali edifici siano stati effettivamente utilizzati per tale scopo o se sono ancora inutilizzati.

 

protocollo operativo censimento occupanti abusivi di immobili ( SCARICA IL PDF )

2018-05-17T13:04:02+00:00