La (mancata) discontinuità del nuovo “Decreto immigrazione”: alcune riflessioni in tema di soccorso marittimo

Dopo circa tredici mesi di confronto interno alla maggioranza di governo, chiuse le urne e contate le schede dell’ultima tornata elettorale, ha visto la luce il nuovo “Decreto immigrazione”. Tramite un conciso testo di 12 articoli, su proposta del Presidente Giuseppe Conte e del Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, il Consiglio dei Ministri ha deliberato una sostanziale modifica del precedente assetto normativo in tema di immigrazione, sicurezza ed ordine pubblico, innovato dai cosiddetti “Decreti sicurezza” della stagione 2018-2019[1].

Nato con l’intenzione di smantellare l’insieme di norme di natura fortemente securitaria volute dall’allora capo del Viminale Matteo Salvini, il provvedimento ha trovato ragione nell’obiettivo dichiarato di creare una sorta di rottura, nonché di proclamata discontinuità tra l’attuale governo “giallo-rosso”, composto da forze politiche pentastellate e democratiche, e quello precedente “giallo-verde”, di matrice grillino-leghista.

Guardando al complesso delle disposizioni recentemente introdotte in materia d’immigrazione, per completezza d’indagine, si segnala brevemente che il provvedimento introduce, tra le diverse norme: una modifica al regime di respingimento dei migranti, ora maggiormente aderente al principio di ius cogens internazionale di ‘non refoulement’[2]; la reintroduzione della protezione umanitaria con il nome di “protezione speciale”; l’eliminazione del divieto di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, modifica necessaria anche a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale[3]; e una diminuzione a 90 giorni del periodo di trattenimento di stranieri all’interno dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr).

Nel novero delle disposizioni introdotte, tuttavia, ciò che più interessa analizzare in questo breve elaborato è il mutamento che l’introduzione di questo nuovo provvedimento innoverà in tema di ricerca e soccorso in mare (Search and Rescue o SAR), specialmente nei confronti di tutte quelle navi di organizzazioni umanitarie che negli ultimi anni sono state vittime di un processo di “criminalizzazione”[4]. In attesa della sua prossima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ad oggi non ancora pervenuta, brevi considerazioni giuridiche possono essere svolte guardando alla bozza di provvedimento circolata negli ultimi giorni.

1 Il soccorso in mare attraverso i precedenti Decreti sicurezza

Mediante i cd. “Decreti sicurezza”, il precedente governo a maggioranza Lega e Movimento 5 Stelle, era riuscito nel suo intento di introdurre disposizioni di natura securitaria in quegli spazi della vita sociale occupati dai cosiddetti “poveri, indecorosi e ribelli”[5]. Il culmine di tale politica securitaria si è avuto mediante l’adozione del “Decreto sicurezza-bis”, al quale si deve anche la cristallizzazione regolamentare della politica italiana dei “porti chiusi”: in base ad essa, il governo si è assunto la prerogativa di emanare divieti d’ingresso, transito e sosta all’interno del mare territoriale italiano nei confronti di tutte quelle navi che negli ultimi anni hanno soccorso migranti in pericolo, salvandoli nelle acque del Mediterraneo centrale[6].

Come riportato anche dalle immagini diffuse a cadenza quasi quotidiana sui maggiori organi d’informazione, a seguito di provvedimenti interdittivi di tale portata, un nutrito numero d’imbarcazioni appartenenti ad organizzazioni umanitarie sono state costrette ad attendere al largo delle coste italiane per numerosi giorni, se non per settimane, in una situazione di stallo, prima di ottenere l’indicazione di un cd. “Place of Safety[7], ossia di un porto sicuro ove poter sbarcare i sopravvissuti. Nel caso in cui, sulla base di argomentazioni tanto giuridiche quanto morali, i comandanti avessero deciso di forzare il blocco imposto dallo Stato italiano, questi sono stati immediatamente raggiunti da una serie di conseguenze sanzionatorie, quali l’apertura di procedimenti penali a loro carico, l’applicazione di severe sanzioni amministrative, fino ad arrivare, in taluni casi al sequestro dell’imbarcazione.

2. Decreto Immigrazione: quali novità?

All’interno delle 12 norme costituenti il nuovo decreto, rilevanti emendamenti alla materia del soccorso in mare sono contenuti all’interno del primo articolo, che si occupa di introdurre due sostanziali modifiche al sistema SAR italiano.

In primo luogo, le autorità italiane non possono più vietare l’ingresso nel proprio spazio marittimo a tutte quelle navi che, a seguito di un soccorso, ne abbiano informato – oltre al competente Stato di bandiera, se di nazionalità straniera – i centri di coordinamento dei soccorsi italiani competenti su quella determinata operazione di salvataggio, rimanendone in contatto ed attenendosi alle direttive imposte. In secondo luogo, si è avuto poi un mutamento del regime sanzionatorio in caso di violazione del divieto d’ingresso e sosta nelle acque italiane: ad un recente regime sanzionatorio di carattere amministrativo, introdotto dal precedente esecutivo, ne è seguito uno -quello attuale- di natura penale che ha visto un completo ritorno alla lettera normativa del Codice della navigazione italiano del 1943[8].

All’esito di una complessiva analisi del testo, luci ed ombre si annidano sul nuovo provvedimento dell’esecutivo. Difatti, se da un lato ha contribuito a superare alcune criticità sollevate nel tempo da molteplici operatori del diritto, in primis la giurisprudenza, dall’altro appare come un tentativo di rottura con le politiche del precedente governo certamente forte sul piano comunicativo, ma debole quanto a contenuti emendativi. Le disposizioni recentemente introdotte, invero, non contribuiscono a superare alcune delle maggiori contraddizioni evidenziate nella prassi dei soccorsi degli ultimi anni, quali, ad esempio, la creazione di una effettiva collaborazione tra asset pubblici e privati, continuando, anzi, a percorrere quel solco di “criminalizzazione” delle Organizzazioni Non Governative (ONG)[9] che da anni svolgono attività di soccorso nel Mediterraneo.

Inoltre, il recente atto si registra come l’amara, ennesima occasione persa per prospettare nuove soluzioni volte al superamento di una delle maggiori problematiche alla base delle tensioni tra ONG e Stato italiano, costituita dall’indicazione di un porto sicuro ove poter sbarcare rapidamente i sopravvissuti.

2.1 La competenza ad emanare divieti d’ingresso nel mare territoriale

Ai sensi del precedente art.11, comma 1-ter del Testo Unico sull’Immigrazione[10], disposizione oggi abrogata dall’art.1, comma 1, lettera c) del nuovo “Decreto immigrazione”, il Ministro degli Interni, previa comunicazione al Presidente del Consiglio e di concerto con i Ministri della difesa e delle infrastrutture e trasporti, aveva la facoltà di vietare l’ingresso, il transito e la sosta all’interno del mare territoriale italiano a tutte quelle navi che avessero violato la normativa internazionale e/o interna relativa al diritto dell’immigrazione, ovvero per motivi di sicurezza e ordine pubblico.

Abrogata la precedente disposizione, il nuovo decreto ripropone[11] le medesime prerogative in capo agli stessi ministeri: tuttavia, la portata innovatrice della nuova disposizione sta nel fatto che, come accennato, tali provvedimenti interdittivi non possono più rivolgersi a coloro che, dopo aver eseguito dei salvataggi in ambiente marittimo in attuazione di obblighi internazionali di soccorso, abbiano avvisato e siano in contatto con le autorità italiane competenti e, ove si tratti di nave straniera, abbiano avvisato lo Stato di cui battano la bandiera.

L’esclusione di questi soggetti dal novero dei possibili destinatari di tali provvedimenti tende ad eliminare, di fatto, ciò che poteva essere configurabile come una possibile violazione della normativa internazionale: in linea con quanto previsto a livello convenzionale, com’è noto, gli Stati devono collaborare tra loro al fine di assicurare nel minor tempo e col minor pregiudizio possibile la conclusione delle operazioni di soccorso, mediante lo sbarco dei naufraghi in un cosiddetto “Place of Safety”, ossia in un porto sicuro[12].

In linea teorica, quindi, tramite l’adozione di provvedimenti aventi ad oggetto il divieto d’ingresso, di transito e/o sosta nel mare territoriale italiano, l’azione governativa era suscettibile di dar luogo alla configurazione, almeno in via astratta, di una violazione del dovere di collaborazione che gli Stati hanno assunto mediante la sottoscrizione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS)[13] e della Convenzione sulla ricerca e il soccorso (SAR)[14]. In prospettiva, se comparata con il precedente assetto di natura securitaria, una novella legislativa di tale portata appare molto più aderente al dettato delle maggiori convenzioni internazionali in tema di soccorso marittimo che lo Stato italiano ha deciso di rispettare mediante la loro sottoscrizione.

Sotto un altro profilo, invece, si è persa l’occasione di risolvere un conflitto di attribuzione di competenze sollevato nell’ultimo periodo da parte della dottrina. Riproponendo, infatti, tra i motivi giustificativi di un provvedimento interdittivo le stesse ragioni di sicurezza, ordine pubblico e di violazione della normativa interna in materia d’immigrazione indicate dal “Decreto sicurezza-bis”, non si è contribuito a chiarire una possibile sovrapposizione di competenze tra gli organi dell’esecutivo, nell’emanazione dei detti provvedimenti, tra i Ministri dell’Interno e delle Infrastrutture e trasporti, antinomia basata sulla contemporanea applicabilità dell’art.11, comma 1-ter del T.U. Immigrazione, oggi abrogato – ma il cui contenuto è stato riproposto all’interno del nuovo art.1 del “Decreto Immigrazione” -, e dell’art.83 del Codice della Navigazione italiano.

Ai sensi dell’art.83 del Codice della navigazione italiano, infatti, “Il Ministro dei trasporti e della navigazione (n.d.r., oggi Ministro delle infrastrutture e trasporti) può limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e […] per motivi di protezione dell’ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende”. Dall’altro lato, il recentemente abrogato comma 1-ter dell’art.11 del T.U. Immigrazione prevedeva che identici poteri fossero attribuibili al Ministro dell’Interno “per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero […] limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti”.

Ad un’analisi prima facie, rilevata una parziale sovrapposizione di competenze data dal significato attribuibile alla dicitura di “ordine pubblico”, sembrava che il ruolo attribuito al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti fosse stato fortemente ridimensionato da attore principale a semplice ausiliario nel procedimento di formazione del divieto d’ingresso e sosta nel mare territoriale italiano. Ci si è così interrogati sul rapporto intercorrente tra l’art.11, comma 1-ter del T. U. Immigrazione e l’art.83 del Codice della Navigazione. Più in particolare, ci si è chiesti quali fossero le possibili ricadute interpretative causate da sovrapposizioni letterali e questioni di compatibilità tra le due norme. Tra le numerose costruzioni dottrinali emerse sull’argomento, due principali si sono contese il campo: da un lato, vi era chi riteneva configurabile un’abrogazione tacita dell’art. 83 del Codice della Navigazione, in quanto soccombente di fronte al nuovo comma 1-ter dell’art.11 T.U. Immigrazione, norma di portata generale e più ampia[15], mentre dall’altro lato vi era chi paventava un’autonomia giuridica dell’art.83 all’interno dell’ordinamento, avendo quest’ultimo portata speciale rispetto alla norma introdotta dal Decreto sicurezza-bis, in quanto “caratterizzato […] dall’identificazione specifica delle esigenze di sicurezza presupposte in quelle di sicurezza della navigazione […], fattispecie che rappresenta una caratterizzazione di quella generale della sicurezza pubblica[16].

Nonostante quindi parte della dottrina tendesse a superare questa possibile antinomia normativa mediante ricostruzioni interpretative basate sul rapporto di specialità tra le due norme, l’adozione del nuovo “Decreto immigrazione” avrebbe potuto sgombrare finalmente il campo da possibili equivoci. Si deve registrare, al contrario, come il nuovo provvedimento non sembri superare tali contrapposte ricostruzioni interpretative mediante l’adozione di una norma che chiarisca in modo inequivoco a quale dei due ministeri si dovessero attribuire poteri d’interdizione all’ingresso nel mare territoriale e quale fosse l’effettivo significato da attribuire al presupposto giustificativo di “ordine pubblico”. Inoltre, si è anche persa l’occasione di chiarire se, nel caso d’ingresso di una nave soccorritrice nello spazio marittimo italiano, in violazione della normativa internazionale e nazionale, la spinta propulsiva all’adozione di tali provvedimenti debba in primo luogo pervenire dal Ministero dell’Interno o da quello delle Infrastrutture e trasporti.

2.2 Il regime sanzionatorio: mutamento della sua natura da amministrativa a penale

Ai sensi dell’art.12, comma 6-bis del T.U. Immigrazione, come modificato dall’art.2 del “Decreto sicurezza-bis”, nel caso in cui una nave avesse violato l’ordine di ingresso, transito e sosta all’interno del mare territoriale previsto dallo stesso decreto, si applicava una sanzione amministrativa pecuniaria, dal valore contenuto tra i 150.000 e il milione di euro, oltre al sequestro amministrativo della nave con la quale era stata realizzata la violazione, sottoposta in un successivo momento a confisca. Tale previsione, era da cumularsi alle eventuali sanzioni penali, nel caso in cui la violazione avesse autonomamente costituito un’ipotesi di reato.

Soppressa questa disposizione grazie all’art.1, comma 1, lett. d) del nuovo decreto, si è tornati alla normativa originariamente prevista dal Codice della Navigazione ed in particolare all’art.1102, che prevede l’irrogazione di pene in capo al comandante di una nave che transiti in zone interdette alla navigazione per motivi di sicurezza o di ordine pubblico dal Ministro delle Infrastrutture e trasporti ex art.83 del Codice della Navigazione: il trattamento sanzionatorio riservato al comandante prevede la reclusione fino a due anni e l’applicazione di una multa, portata dal nuovo decreto ad un valore compreso tra i 10.000 ed i 50.000 euro. Ciò che salta immediatamente agli occhi è il fatto che sia stata eliminata la facoltà di procedere al sequestro amministrativo e, soprattutto, della possibilità di procedere alla sanzione accessoria della confisca dell’imbarcazione con la quale è stata commessa la violazione, tornando, in tal modo, a strumenti di natura meno afflittiva previsti dal nostro ordinamento.

Ad una prima e superficiale lettura, difatti, potrebbe sembrare che il trattamento sanzionatorio sia andato ad inasprirsi: infatti, le salate sanzioni amministrative previste in capo al comandante della nave sono state sostituite con pene fino a due anni di reclusione. Tuttavia, è bene sottolineare come l’applicazione della fattispecie penale di cui all’art. 1102 del Codice della Navigazione non è mai stata interdetta nella discovery, in un’eventuale procedimento penale, pertanto era ed è norma applicabile ex officio dal giudice penale (eventualmente) procedente.

In realtà, il precedente impianto normativo, mediante la formula “salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato” contemplava l’ipotesi dell’applicazione di sanzioni amministrative come precedenti e cumulative rispetto ad una pena irrogata dall’Autorità giudiziaria, all’esito di un procedimento penale condotto dalla stessa. Sostanzialmente, era previsto che la violazione di un ordine impartito dall’Autorità pubblica da parte del comandante di una nave, ove configurasse anche un illecito penale, potesse comportare oltre all’applicazione di una pena, anche l’irrogazione di una multa salata e della confisca della nave.

È certamente innegabile, in tale ottica, che un notevole beneficio sia stato apportato da questo nuovo decreto attraverso il passaggio da una natura sostanzialmente amministrativa della sanzione, irrogata cioè da organi di governo sulla base di sommarie e discrezionali valutazioni riguardanti le circostanze fattuali della violazione, ad una natura penale della stessa, deliberata però dall’Autorità Giudiziaria a seguito di un processo equo, terzo ed imparziale, con ogni garanzia processuale del diritto di difesa dell’imputato.

3 La proclamata (e mancata) discontinuità dal sistema dei Decreti sicurezza

Alla luce dell’analisi svolta, pare che il nuovo provvedimento possa rappresentare un timido primo passo verso l’espunzione di quei divieti di ingresso nel mare territoriale italiano e loro trattamento sanzionatorio, previsto in caso di loro violazione, in attuazione di quei vincoli al soccorso in mare senza dubbio tutelati dal diritto internazionale. Tuttavia, alla luce del provvedimento emesso, ci si chiede se tramite questo decreto si sia contribuito a risolvere il nodo essenziale delle questioni alla base del processo di “criminalizzazione” delle ONG, fortemente irrobustito dall’adozione dei Decreti sicurezza e legato anche alle politiche comunitarie in tema di “burden sharing”, ovvero di divisione delle quote, nonché di revisione del Trattato di Dublino, vero nodo gordiano non ancora sciolto, anzi aggravato dalle ultime indiscrezioni che vengono della Commissione Europea.

Guardando alla storia recente, a livello interno, l’attutale esecutivo ha più volte mostrato di voler proseguire nel solco tracciato dalla politica ‘salviniana’ dei “porti chiusi”, impedendo così alle navi umanitarie di svolgere le operazioni di soccorso: tuttavia, si registra come siano fortemente cambiate le modalità con le quali si è tentato di escludere l’azione delle ONG dallo spazio Mediterraneo. Nel periodo di governo dell’ex Ministro dell’Interno Matteo Salvini, difatti, il blocco delle operazioni di soccorso avveniva con due distinte modalità: in un primo momento si vietava l’ingresso nel mare territoriale italiano e solo successivamente, nel caso in cui le navi avessero forzato il blocco per sbarcare i naufraghi, veniva dato avvio ad indagini condotte dalla magistratura che terminavano con il sequestro delle imbarcazioni, le quali rimanevano poi ferme in porto per mesi.

Ad oggi, nonostante non vi sia più quel clamore mediatico sorto nelle estati del 2018 e del 2019 attorno ai blocchi imposti dall’esecutivo italiano, il più famoso dei quali ha coinvolto l’organizzazione umanitaria “Sea Watch” e il suo capitano Carola Rackete[17], si registra tuttavia come nella prassi dei soccorsi poco o nulla sia cambiato. Alle clamorose e sensazionalistiche dichiarazioni di voler chiudere i porti, si è infatti sostituita una prassi meno evidente, ma dal pari potenziale interdittivo.

Come denunciato da alcune organizzazioni umanitarie, infatti, nell’estate del 2020 l’esecutivo italiano ha dato avvio ad una lunga sequenza di ispezioni tecniche realizzate dalla Guardia costiera; di per sé legittime e pienamente auspicabili, la distorsione di tali procedure sta nella frequenza e periodicità con le quali esse siano state realizzate a danno delle navi di ONG, quasi a volerne inibire l’attività di soccorso, facendole stazionare in porto. A seguito di tali ispezioni, infatti, numerose volte è stato disposto un fermo amministrativo del natante sulla base di meri tecnicismi di forma; e ciò, fin quando a bordo di esse non fossero state ripristinate le adeguate condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza della navigazione[18]. Alla base di tali provvedimenti, c’è l’idea da parte dell’Italia che tali imbarcazioni non svolgano attività in condizioni d’emergenza, ossia raccogliendo dalle acque i superstiti, ma offrano un ordinario servizio di ricerca e soccorso in ambiente marittimo, dimenticandosi che, secondo quanto stabilito dal diritto internazionale ed interno, in un cosiddetto “stato di necessità”, ossia quando si possa temere per la salvaguardia della vita umana cd. “distress”, il rispetto delle ordinarie condizioni di sicurezza ha carattere eccezionale, potendo quindi essere derogato[19].

In conclusione, si può quindi sostenere che l’adozione del “Decreto immigrazione”, del quale ci si auspica una prossima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, nonostante costituisca un primo passo in avanti verso il superamento del sistema dei Decreti sicurezza, non contenga in sé quella forza riformatrice idonea a risolvere gli odierni problemi che si presentano nella prassi dei soccorsi in mare.

In primo luogo, infatti, l’inciso contenuto nel nuovo decreto “effettuate nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e soccorso in mare” potrebbe far presupporre che il comandante di una nave, al fine di evitare un provvedimento di interdizione alla navigazione nelle acque territoriali italiane, debba attenersi pedissequamente a quanto comunicato dai competenti centri di coordinamento dei soccorsi. La prassi italiana in materia di soccorsi ha, tuttavia, sottolineato come l’indicazione di un luogo sicuro nel quale sbarcare i naufraghi sia frequentemente ed intimamente collegata ad un accordo di ripartizione dei migranti soccorsi tra i vari paesi della comunità europea: è inoltre accaduto sovente che tali accordi siano stati raggiunti all’esito di lunghe contrattazioni diplomatiche, le quali hanno spesso lasciato gli equipaggi e le persone soccorse al largo per varie settimane in una situazione di stallo, causando il peggioramento delle condizioni socio-sanitarie a bordo e una situazione di pericolo legata al mutamento delle condizioni meteo-marine. Vanificando, in tal modo, il principio di immediato soccorso previsto dai principi di ius cogens. Al verificarsi di tali circostanze, come dimostrato dall’emblematico caso della “Sea Watch 3”, i comandanti delle navi hanno spesso forzato il blocco imposto dalle autorità italiane, decidendo di entrare nei porti italiani onde evitare il peggioramento psico-fisico degli ospiti a bordo.

Ci si domanda se una medesima situazione potrà essere evitata in seguito all’adozione di questo nuovo provvedimento. La risposta è verosimilmente negativa, in quanto nonostante la lettera del decreto escluda l’applicabilità di divieti d’ingresso nelle acque territoriali, in realtà essa appare silente circa un’automatica autorizzazione all’ingresso nei porti italiani. Se sotto la vigenza del precedente assetto dei Decreti sicurezza, quindi, l’attesa di un provvedimento d’indicazione di un porto di sbarco si sarebbe dovuta svolgere oltre le 12 miglia del mare territoriale italiano, ad oggi, si potrebbe attendere anche a poche decine di metri dalle coste italiane. Tuttavia, sempre di attesa, e non di automatico diritto all’ingresso si parlerebbe.

Inoltre, nella pratica, essendo l’indicazione di un porto sicuro una decisione che deve essere assunta dalle autorità pubbliche competenti in materia di soccorso, nel caso in cui un comandante decidesse di non seguire più le indicazioni fornite dai centri di coordinamento dei soccorsi a causa del peggioramento delle circostanze a bordo della nave, verosimilmente il natante verrebbe ugualmente raggiunto da un provvedimento avente ad oggetto un divieto d’ingresso, transito e sosta all’interno dello spazio marittimo italiano. Esattamente lo stesso tipo di circostanza verificatasi sotto la vigenza dell’abrogato sistema dei Decreti sicurezza.

E ancora, nell’ipotesi sopra indicata in cui il comandante violi le indicazioni fornite dalle autorità italiane, il regime sanzionatorio più favorevole indicato all’interno del nuovo decreto potrebbe escludere l’applicazione di sanzioni nei suoi confronti? Ragionando per astratto, probabilmente un comportamento simile integrerebbe la violazione dell’ordine di divieto di navigazione in acque interdette ex art.83 Codice della navigazione, il cui risvolto sanzionatorio si esplicherebbe nell’applicazione dell’art.1102 dello stesso codice. In tal caso, quindi, nonostante non sia più possibile l’applicazione di sanzioni di natura amministrativa, il comandante della nave potrebbe comunque essere sottoposto a procedimento penale per violazione dell’art.1102 del Codice della navigazione, rischiando fino a due anni di reclusione ed una multa tra i 10 e i 50.000 euro.

Dopo quest’analisi appare chiaro come questo decreto abbia sicuramente ammorbidito, nel complesso, il precedente regime repressivo in materia di soccorsi marittimi, ma è evidente come si sia persa l’ennesima occasione di analizzare sistemicamente, nonché di risolvere, le attuali problematiche giuridiche legate al soccorso condotto da Organizzazioni Non Governative. Un simile approccio al problema avrebbe certamente condotto a soluzioni differenti.

Tra le varie prospettabili, alcune soluzioni sarebbero potute consistere nella creazione di uno spazio di reale collaborazione tra ONG ed autorità italiane, nonché europee, ovvero nell’adozione di un accordo europeo sulla ripartizione dei migranti soccorsi sul modello del naufragato Accordo di Malta[20], al fine di evitare che ogni singola attività di soccorso debba concludersi solamente a seguito di lunghe trattative, potenzialmente pericolose per gli attori umanitari ed i naufraghi. Infine, il governo italiano avrebbe potuto tentare di risolvere la questione forse più centrale e problematica in tema di soccorso in mare, costituita dall’individuazione del porto sicuro di sbarco, contribuendo ad avviare un dialogo in seno all’Unione Europea ed alle più rilevanti organizzazioni internazionali (sopra tutte, l’Organizzazione Marittima Internazionale o IMO) al fine di porre fine alla lunga diatriba di quale Stato debba intendersi responsabile dello sbarco dei naufraghi, fase realmente conclusiva delle attività di soccorso[21].

In attesa di conoscere l’esatto contenuto del nuovo “Decreto Immigrazione”, si deve constatare come, al momento, questo provvedimento costituisca solamente un primo e timido passo su di un sentiero che conduca ad un sistema di ricerca e soccorso marittimo basato, da un lato, sul rispetto dei diritti umani dei naufraghi e, dall’altro, sul garantire un necessario sostegno ai soccorritori, ad oggi, ancora sottoposti ad un processo di “criminalizzazione”.

Dott. Luca Brigida

[1] Ci si riferisce al Decreto-legge n.114 del 4 ottobre 2018, convertito con modificazioni con Legge n.132 del 1° dicembre 2018 e al Decreto-legge n. 53 del 15 giugno 2019, convertito con modificazioni con Legge n.77 del 8 agosto 2019. Per approfondire, si veda: Curi F., Il decreto Salvini.Immigrazione e sicurezza, Pacini Giuridica, Pisa, 2019; Zampone A., “Il c.d. decreto sicurezza-bis: profili di diritto della navigazione”, in Diritto pubblico, fascicolo n.3, settembre-dicembre 2019, pp.693 ss.

[2] Per approfondire il tema del “non refoulement”, si veda: Algostino A., “I diritti all’approdo fra soft law e interventi delle corti”, in Giustizia e costituzione agli albori del XXI secolo, Mezzetti L., Ferioli E., Bonomo, 2017, pp. 3 ss., p.5.

[3] Corte di Cassazione SS. UU., sentenza n°29460 del 24 settembre 2019, disponibile all’indirizzo: https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/11/2019_cassazione_29460.pdf

[4] Brigida Luca M., “Ricerca e soccorso in mare: questioni giuridiche sulla determinazione del “Place of Safety”, pp.123 ss., disponibile all’indirizzo: https://www.academia.edu/43179222/Ricerca_e_soccorso_in_mare_questioni_giuridiche_sulla_determinazione_del_Place_of_Safety_ .

[5] Per approfondire, si veda: Alterego – Fabbrica dei diritti, Abusi in divisa, DeriveApprodi, 2019, pp.9 ss.

[6] Per approfondire il tema dei “porti chiusi”, si veda: Brigida Luca M., op. cit., pp.131 ss.

[7] Per approfondire tema del “Place of Safety”, si veda: Brigida Luca M., op.cit., pp.158 ss.

[8] Ci si riferisce al Regio decreto 30 marzo 1942, n. 327.

[9] Per approfondire, si veda: Alterego – Fabbrica dei diritti, op. cit., pp.37 ss.

[10] Ci si riferisce al Decreto Legislativo n.286 del 25 luglio 1998.

[11] Ci si riferisce all’art.1, comma 2 della bozza di decreto.

[12] La più importante cristallizzazione di tale principio è contenuta all’interno del Cap.3 par.3.1.9 dell’Annesso alla Convenzione SAR. Per approfondire, tesi: Brigida Luca M., op. cit., pp.158 ss.

[13] Ci si riferisce in particolare all’art.98 della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del mare del 1982, disponibile all’indirizzo: https://www.un.org/Depts/los/convention_agreements/texts/unclos/unclos_e.pdf .

[14] Ci si riferisce alla Convenzione sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979, disponibile all’indirizzo: https://treaties.un.org/doc/Publication/UNTS/Volume%201405/volume-1405-I-23489-English.pdf .

[15] Benvenuti M., “Audizione resa il 30 luglio 2019 innanzi all’Ufficio di Presidenza della Commissione 1° (Affari costituzionali) del Senato della Repubblica nell’ambito dell’esame del disegno di legge recante “Conversione in legge del decreto-legge 14 giugno 2019, n.53, recante disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica”, op. cit.

[16] Zampone A., “Il c.d. decreto sicurezza-bis: profili di diritto della navigazione”, in Diritto pubblico, fascicolo n.3, settembre-dicembre 2019, pp.693 ss., p.701.

[17] Per approfondire, si veda: Brigida Luca M., op. cit., pp.230 ss.

[18] Per approfondire, si veda: https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/07/09/news/ispezioni_a_bordo_per_fermare_le_ong_sea_watch-261452069/ ; https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Sea-Watch-4-fermo-della-nave-dopo-11-ore-di-ispezione-La-ong-a-rischio-la-vita-delle-persone-f510882a-379c-49e1-8990-01179cc9588f.html?refresh_ce ; https://www.askanews.it/cronaca/2020/09/19/la-guardia-costiera-a-bordo-di-sea-watch-4-per-ispezioni-protesta-delle-ong-top10_20200919_130610/ .

[19] Merli G., “Migranti. “Navi umanitarie, sono fermi politici. L’Italia chiede requisiti inesistenti”, 11 ottobre 2020, disponibile all’indirizzo: http://www.ristretti.org/index.php?option=com_content&view=article&id=94117:migranti-qnavi-umanitarie-sono-fermi-politici-litalia-chiede-requisiti-inesistentiq&catid=220:le-notizie-di-ristretti&Itemid=1 .

[20] Per approfondire, si veda: Brigida Luca M., op. cit., pp.236 ss.

[21] Per approfondire le proposte emerse negli ultimi anni riguardo una possibile collaborazione tra gli Stati affacciati sul Mar Mediterraneo, si veda: Brigida Luca M., op. cit., pp.181 ss.

2020-10-12T17:57:09+00:00